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Cosa significa essere competenti nel mondo del lavoro?

Individuo

Quando ci affacciamo al mondo del lavoro o quando ci troviamo in un momento di transizione avendo concluso un’esperienza professionale ed essendo alla ricerca di un altro lavoro, spesso siamo chiamati a confrontarci con il costrutto di competenza. 

Leggiamo sulle offerte di lavoro mille competenze diverse richieste e durante i colloqui o gli assessment di selezione veniamo proprio valutati sulle competenze che possediamo. 

E, a volte, non siamo perfettamente in grado di valorizzare le competenze che possediamo perché non abbiamo molto chiaro il vasto mondo delle competenze. 

Cerchiamo di approfondire insieme per avere le idee un po’ più chiare. 

Competenza e competizione

Il sostantivo competenza deriva dal verbo di origine latina cum-petere, che sta ad indicare l’azione di “andare insieme, far convergere in un medesimo punto; anche nell’accezione di gareggiare o di mirare ad un medesimo obiettivo (Dizionario etimologico della lingua italiana” – Cortelazzo e Zolli – Zanichelli – 1994). 

La parola competenza possiede la medesima radice etimologica del termine competizione, e ciò non è da considerarsi un caso. Ma, mentre il significato della parola competizione è rimasto negli anni fedele e vicino alla sua origine latina, che lo vuole come la definizione di chi lotta per raggiungere un obiettivo/meta, il termine competenza ha modificato la sua essenza traslando il proprio significato.

Questi due vocaboli sono strettamente interconnessi tra loro, quasi uno propedeutico all’altro, in quanto la competenza può essere pensata come una condizione imprescindibile affinchè possa esserci una competizione: se non vi sono le competenze, intese come saper fare, conoscenza, abilità relativamente ad un determinato compito o settore, non può esistere la possibilità di competere con l’altro per raggiungere il successo.

L’essere competenti non può riferirsi esclusivamente al possesso di saperi e know-how, ma al fatto di creare performance efficaci più degli altri e prima degli altri.

Per competere, dunque, bisogna essere competenti.

Non solo sapere e saper fare

Il significato dell’aggettivo competente, riferito a colui che ha autorità in un certo ambito, deriva dal diritto romano (dal latino competens–entis) e lo ritroviamo ancora oggi nel diritto e sta ad indicare la qualità di un individuo che è responsabile, autorizzato, qualificato e, quindi, abilitato.

Inoltre, secondo il Dizionario etimologico della lingua italiana di Cortellazzo e Zolli (1994), competente significa essere conveniente, congruo e appropriato. 

Competente è, dunque, chi agisce in maniera volutamente responsabile, secondo criteri relativi (quindi adattabili alle illimitate esigenze) e variabili, nonché socialmente e politicamente riconosciuti sia in termini di una prestazione tecnicamente valida che eticamente corretta e coerente con i valori di un gruppo (professionale) (Petruccelli F., Messuri I., Santilli M., 2012, p. 147).

Essere competente, quindi, è una dimensione dinamica, che si modula e modifica nel tempo, in relazione ai contesti di riferimento ed è multimodale, in quanto costituita sulla base di componenti cognitive, emotive, relazionali.

La competenza potrebbe essere, in tale frame concettuale, definita come “la capacità di mettersi in relazione attiva rispetto ad una situazione complessa e potenzialmente in continua evoluzione” (Petruccelli F., Messuri I., Santilli M., 2012, p 41).

La competenza, dunque, rappresenta qualcosa di più che la somma delle singole abilità che un soggetto possiede, in quanto coinvolge anche le sfere affettivo-emozionale e relazionale, le quali fanno riferimento non solo a ciò che una persona ‘sa fare’, ma anche a ciò che una persona ‘è’.

Quindi, la competenza non fa solo riferimento all’apprendimento di una determinata disciplina o alla capacità di svolgere performance eccellenti in uno specifico settore, ma è legata anche alla dimensione sociale, soggettiva.

Un manager, ad esempio, può conoscere perfettamente gli elementi teorico-pragmatici alla base del proprio lavoro, ma non avere la capacità di comunicare adeguatamente con i propri sottoposti o di gestire in modo appropriato i tempi di lavoro o lo stress. L’assenza di queste competenze, che sono di natura emotiva e relazionale, rendono quel lavoratore globalmente non competente.

Secondo Perrenoud, infatti, “la competenza è la capacità di agire efficacemente in una situazione data, capacità che si fonda su alcune conoscenze, ma non si riduce ad esse.

Una competenza presuppone l’esistenza di risorse da mobilitare ma non si confonde con esse, poiché al contrario la competenza vi aggiunge qualcosa rendendole sinergiche in vista di un’azione efficace in una situazione complessa” (Perrenoud, 2002, pp. 3-4).

La dimensione soggettiva ed intersoggettiva della competenza

La competenza è “una caratteristica intrinseca di un individuo, causalmente collegata ad una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione, che è misurata in base ad un criterio prestabilito” (Spencer e Spencer, 1993).

Questa definizione classica della competenza, di stampo meccanicistico-razionalista, si rifà esclusivamente ad una dimensione oggettiva della stessa, legata all’idea della competenza come qualcosa di prevedibile e misurabile.

Negli ultimi anni, però, accanto alla dimensione oggettiva si sono inserite quella soggettiva ed intersoggettiva, in quanto ci si è resi progressivamente conto di come, nell’orizzonte della competenza, avessero un peso alquanto rilevante:

  • iI giudizio sociale. Una persona risulta agli occhi altrui competente solo se ha fornito la testimonianza pubblica dei propri risultati positivi in un compito o attività 
  • le caratteristiche peculiari dell’individuo (personalità), affiancate dalle abilità relazionali, dalla motivazione e dalla stima soggettiva e collettiva del compito da svolgere e delle proprie capacità.

L’accento, dunque, si è gradatamente orientato verso una dimensione più soggettiva, in cui la competenza non è determinata solamente dal sapere (istruzione) e dal saper fare (abilità, esperienze), ma anche da tutte quelle dimensioni personali che apportano un valore aggiunto.

Mentre in precedenza, quindi, la dimensione personologica peculiare di ciascun individuo veniva lasciata sullo sfondo, oggi diventa elemento principe, imprescindibile da considerare in un’ottica di valutazione delle competenze.

“Il concetto di competenza attiene all’umanizzazione stessa del lavoro,

che abbandona le vesti asettiche di processo oggettivo,

per assumere quelle di interazione sociale”

(Cerase F. P., 2002, p 37).

Si comprende, dunque, come l’essere competente significhi non solo essere in grado di svolgere un compito in maniera ottimale, ma sia legato anche alla decisione di rispondere ad un determinato stimolo e alla scelta consapevole del proprio comportamento.

Quindi, la dimensione soggettiva della competenza è composta non solo da alcune abilità relazionali e caratteristiche di personalità, ma anche dalla motivazione alla base del comportamento, dalla stima che si attribuisce al compito da svolgere e dalla valutazione del proprio essere competente.

Il giudizio personale circa l’essere più o meno competente in un determinato compito si costruisce attraverso il confronto con gli standard sociali di riferimento ed in relazione al giudizio che gli altri (in special modo gli “altri significativi”) ci rimandano circa le performance realizzate. 

Quindi, la dimensione soggettiva si edifica attraverso quella intersoggettiva.

Quest’ultima, richiama da un lato, il sistema di attese che il contesto sociale esprime in rapporto alla capacità del soggetto di rispondere adeguatamente al compito svolto, e dall’altro l’insieme delle risorse sociali (persone, strumenti, ecc) che sono a disposizione del soggetto durante la realizzazione della performance.

Le dimensioni individuale e sociale non rivestono, quindi, ruoli distanti, ma intersecanti e complementari, di reciproca influenza. 

Infatti, la dimensione di gruppo ed il contesto di azione vengono considerati di fatto costitutivi dell’individuo, divenendo parte essenziale del modo in cui egli guarda a se stesso e al mondo (Mantovani, 2003).

La percezione della propria competenza è un giudizio di valore che influenza notevolmente non solo il comportamento del soggetto, ma anche i pensieri e le emozioni.

In conclusione, è possibile affermare che:

la competenza può essere intesa come la capacità di orchestrare in maniera valida ed efficace, in specifici contesti di apprendimento o lavorativi, un insieme abbastanza articolato e differenziato di risorse interne di natura cognitiva, affettiva e volitiva, in vista del raggiungimento di un obiettivo specifico, tenuto conto anche degli influssi che derivano da fattori di natura relazionale e sociale.

Per approfondire

Petruccelli F., Messuri I., Santilli M. (2012). Bilancio di competenze e orientamento professionale e scolastico, Milano: Franco Angeli 

Ardone R., Chiarolanza  C. (2003), Cultura e differenze. Workshop di psicologia culturale, Mantovani G., Zucchermaglio C. , Padova, Domeneghini Editore, 10 – 11 Aprile, pp. 125 – 129

Cerase F. P., 2002, cambiamenti organizzativi nel governo delle pubbliche amministrazioni e loro effetti sulle competenze, in Amministrare / a. XXXII n. 3 

Spencer L.M., Spencer S.M., 1993, Competence at work. Models for Superior Performance, tr. It. Competenza nel lavoro: modelli per una performance superiore, F. Angeli, Milano

Perrenoud P., 1999, Dix nouvelles compétences pour enseigner. Invitation au voyageParis: ESF, 1999. Trad. It. 2002

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