“Io so che cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo” scrive Sant’Agostino ne Le Confessioni, XI libro (398 d.C.).
Il tempo è una dimensione esistenziale con cui tutti dobbiamo fare i conti. Ogni nostra giornata è scandita da ritmi ed orari. Il tempo è relativo, denso, fluido, complesso, ricorsivo, variabile, veloce, lento, interminabile. Il tempo è individuale, di coppia, sistemico, soggettivo, plurimo. Il tempo risulta essere una variabile importante all’interno della dimensione psicoterapeutica.
In questo articolo vi propongo il mio punto di vista sulla dimensione temporale all’interno dell’espressività sintomatologica e sugli accenti che in psicoterapia è importante considerare rispetto al tempo del paziente e del sistema terapeutico.
Innamoramento retropico
“Non ho un’immagine del futuro. Ho difficoltà a visualizzare a lungo termine la mia vita perché non riesco ad avere fiducia in me”.
Andrea 34 anni
“Mi sento abbastanza incapace di recuperare la bussola e con essa le redini della mia vita, quanto meno definitivamente. Mi aggiro timida nel labirinto, inciampando, incespicando, cercando, in ogni istante, di non guardarmi indietro, ma davanti a me è tutto confuso”.
Valeria 37 anni
“Ho la sensazione di camminare raso al muro vicino al burrone con la preoccupazione che qualsiasi passo falso possa fare crollare tutto. Vorrei solo tornare ad essere come prima, vorrei poter tornare indietro…cambiare qualcosa può farmi perdere l’equilibrio”.
Luca 41 anni
Queste sono le parole di chi vive il tempo del sintomo, un tempo fatto di un immobilismo omeostatico. Luca ad esempio dice “vorrei solo tornare indietro”, come se il passato fungesse da “base sicura” contro il senso di incertezza.
Prendendo in prestito le parole del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, quello che spesso osserviamo è un innamoramento retropico verso il passato.
Il termine “retropico” si riferisce al concetto di retropia (che troviamo all’interno del testo omonimo pubblicato postumo nel 2017) che indica un attaccamento nei confronti del tempo passato, ancora solida e stabile a cui si associa una vera e propria fobia nei confronti del tempo futuro, in quanto incerto e ingestibile, finisce alla gogna e viene contabilizzato come voce passiva, assumendo sfumature pessimistiche.
Questo è molto simile a quello che, spesso, osserviamo nei pazienti, i quali assediati dalla sofferenza, per non perdere l’orientamento, si aggrappano a quel che resta della stabilità (Lowental).
E cos’è che è stabile?
Che ci fa sentire al sicuro?
Ci sentiamo al sicuro quando torniamo nei territori del familiare, di ciò che ben conosciamo, ciò che ci hanno insegnato, che abbiamo vissuto e sperimentato. Ed è questo che fanno le famiglie, perlomeno quelle che non hanno un sufficiente livello di flessibilità nel modularsi in rapporto agli input di cambiamento, esterni ed interni, che si presentano nei passaggi del ciclo vitale.
Questi sistemi, per garantirsi una stabilità interna che gli è necessaria, si aggrappano a quelle dinamiche note ma disfunzionali attivando quella che la Teoria Generale dei Sistemi definisce retroazione negativa che permette di mantenere lo status quo determinando un adattamento omeostatico all’ambiente, e quindi un disadattamento.
Il tempo del sintomo, quindi, non permette evoluzioni, costringendo il paziente designato e la famiglia in danze disfunzionali che li fanno girare in cerchio o ritornare costantemente negli stessi vicoli ciechi (Caillè, 2005).
Tutti sono ancorati saldamente ad un tempo presente dove il sintomo è protagonista e, in alcuni quadri sintomatici (disturbo post traumatico da stress, lutto patologico, depressione), il focus è puntato anche ad un li e allora che ha ancora impatto dolorifico sul presente.
Nella psicopatologia, quindi, vi è spesso un tempo presente e un tempo passato, mentre il futuro è inconsistente, irraggiungibile, e nei casi più gravi, inesistente.
Il futuro è un non tempo.
Questo significa che il paziente porta in terapia una percezione del tempo non unitaria, ovvero una disarticolazione temporale, dove i tre tempi sono disconnessi gli uni dagli altri, non interagenti, vengono percepiti dalla persona come se fossero dei compartimenti stagni incomunicabili.
Come ci dice Borgna (1996) nella psicopatologia i tempi si disgregano e, infine, si sfilacciano. Ciò determina una frattura nel fluire della vita psichica della persona.
L’integrazione temporale
È, dunque, importante durante il processo terapeutico tenere in considerazione la variabile tempo, valutando e lavorando in favore di una integrazione temporale, dove il tempo futuro deve essere rianimato e messo in continuità attiva con presente e passato.
Il futuro, quindi, non va soltanto reso nuovamente possibile,
ma anche integrato all’interno di un’unica bolla temporale,
dove coesistono simultaneamente passato, presente e futuro.
Ognuno di noi in ogni attimo della propria vita porta con sé la propria bolla temporale che permette a ciascuno di percepirsi come il risultato fluttuante dell’intreccio della propria storia, con il qui ed ora e l’avvenire.
Faccio una precisazione: il passato che portiamo nel tempo presente non è una fotografia fedele di ciò che è realmente accaduto nella nostra storia, né è solo una sorta di resoconto filmico. È la selezione soggettiva di eventi, informazioni, emozioni che si sono ancorati alla memoria, generando mappe attraverso le quali agiamo, in modo semplificato, all’interno dei contesti relazionali odierni. E il tempo futuro è presente solo nella dimensione dell’attesa e della progettualità.
È come se il passato e il futuro indossassero un abito di taffettà cangiante e ogni volta che voltiamo lo sguardo in una o nell’altra direzione li vediamo con colori diversi.
Questo ci porta a credere che è nel tempo presente e, nello specifico, nel presente della terapia che si possono generare delle modificazioni, non rispetto a ciò che è realmente accaduto o che accadrà, ma in relazione alla lettura e al significato che il soggetto lega al proprio continuum esistenziale.
Il lavoro terapeutico: 4 punti ‘on-time’
In relazione a ciò è importante che all’interno del processo terapeutico si valutino alcune dimensioni temporali e si agisca in favore di 4 aree:
1. Sincronizzazione dei tempi
– Sincronizzazione dei tempi individuali
È importante non solo, come ho già accennato, riattivare una interrelazione all’interno dell’intelaiatura temporale, ma anche lavorare su una narrazione che spesso i pazienti ci portano dove esiste una vita prima del sintomo e una vita dopo il sintomo, come se l’esperienza sintomatica fosse uno squarcio nella continuità dell’esistenza.
Compito della terapia è quello di ricucire progressivamente i due lembi recisi per rigenerare una trama unica.
– Sincronizzazione dei tempi interni con quelli esterni.
Ogni persona è portatrice dei un tempo soggettivo che nella psicopatologia diventa sovente diacronico rispetto al tempo esterno.
Compito della terapia è quello di aumentare la sincronia: avvicinare il tempo soggettivo con quello evolutivo, ovvero il tempo della fase del ciclo vitale ed anche sincronizzare i tempi interni con quelli sociali, cioè delle aree di vita come il lavoro e la socialità.
– Sincronizzazione dei tempi individuali con i tempi del sistema familiare
per tempo del sistema familiare si intende l’insieme dei vari tempi individuali che diviene tempo globale, il quale è più della somma delle singole parti. È come un’orchestra dove ognuno suona il proprio strumento e il proprio spartito, ma tutti devono seguire un determinato ritmo che possa armonizzare tutti i suoni, generando un’unica armonica melodia.
– Sincronizzazione del tempo del sistema terapeutico
Il terapeuta, in quanto persona, è anch’egli portatore di un tempo interno. È importante che impari a conoscere i propri ritmi, per adeguare essi ai tempi del setting e a quelli dei pazienti.
2. Da un tempo lineare ad un tempo circolare
I pazienti portano una visione del mondo, della vita e quindi anche del tempo lineare. Compito della terapia è inserire il concetto di tempo circolare dove si intrecciano un tempo verticale, transgenerazionale, ed uno orizzontale legato alla dimensione esistenziale del paziente (Busso, 2016). Inserirsi all’interno di una trama storica familiare permette al soggetto di coglierne le ridondanze.
3. Attribuzione di significati alternativi all’interno della narrazione storica del paziente/coppia/famiglia.
Nell’ambito di ogni processo terapeutico c’è sempre una storia o più storie da raccontare. Serve del tempo per raccontare una storia, che è un tempo altro che non appartiene all’ordinario scorrere dei minuti e delle ore, un tempo di fuoriuscita dal flusso della quotidianità.
Il terapeuta deve curare i tempi della storia, ponendo ad esempio nuovi accenti, proponendo nuove punteggiature circa gli eventi, esaltando alcuni temi e riducendo l’importanza di altri. Questo movimento di equilibri aiuta il soggetto alla ricerca di significati alternativi generando una nuova narrazione della propria storia.
4. Destituzione della lettura deterministica del tempo
I pazienti mantengono la certezza secondo cui determinate premesse (come un passato traumatico) devono necessariamente portare ad un unico, immutabile futuro.
È importante accompagnare il soggetto ad abbandonare questa visione lineare del se…allora, aprendo lo sguardo alla comprensione che anche partendo da premesse negative e sconfortanti si può generare un futuro diverso, anzi tanti futuri possibili. (Proprietà dei sistemi aperti TGS – Equifinalità: ciò che si osserva allo stato attuale può essere il risultato di numerosi processi diversi e provenire da condizioni iniziali differenti).
Boscolo e Bertrando (1993), in tal senso, parlano di ambitemporalità dove Il presente è come è, il futuro potrà esserne una copia oppure assumere una forma inedita. Questa convinzione restituisce al paziente il potere di autodeterminarsi e di determinare la vita possibile del proprio futuro.
Attraverso la psicoterapia…
In terapia, così come nella vita, non esiste un solo tempo, non esiste IL tempo, ma esistono I tempi.
L’incontro terapeutico si inscrive in un tempo presente che si interseca a stratificate dimensioni temporali: c’è il tempo presente, quello del sintomo, c’è il tempo della seduta, delle narrazioni, del silenzio. C’è il tempo atteso del cambiamento. A questo si sommano i tempi individuali e sistemici: il tempo storico del paziente, quello del terapeuta, quello della famiglia d’origine, quello della famiglia che si porta in testa (come direbbe la Benjamin); i tempi sincronici (quelli del qui e ora) a cui si intersecano quelli diacronici (il lì ed allora della storia della persona).
Nonostante, dunque, in terapia si giochi tutto all’interno di un tempo presente, quello della seduta, esso non è da intendersi come un tempo vuoto di storia ed avvenire.
La variabile tempo deve diventare strumento della terapia attraverso una costante operazione di recupero e di ridefinizione dei contenuti e dei processi delle storie (Vallario, 2010). Le pagine del passato devono essere rilette, comprese e riconnesse ad un qui ed ora che accoglie nuovi significati. In tal senso, dunque, il presente è carico del passato e gravido dell’avvenire (Leibniz).
Leibniz ci aiuta a riflette sul fatto che il presente sia dotato di un carattere espansivo, in quanto aperto a prospettive da realizzare, in questo senso è gravido del futuro. È volto al novum il quale si configura come dispiegamento di elementi già contenuti in esso, seppur in forma embrionale.
Ogni momento contiene passato e futuro, dando vita ad una vera e propria fusione degli orizzonti, in un processo di continua trasformazione (Basso 2005, p. 18-20).
Non c’è mai una generazione completa né morte perfetta. E quelle che noi chiamiamo generazioni sono sviluppi e accrescimenti…ne deriva che gli esseri umani non nascono né periscono, ma solamente si trasformano.
L’uomo non muore ci dice Leibniz ma si trasforma all’interno di una temporalità che non gli appartiene del tutto, all’interno di una storia intergenerazionale.
Bibliografia
Basso, L., (2005), Individuo e comunità nella filosofia politica di G.W. Leibniz, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
Bauman Z. (2017), Retropia, Laterza, Bari-Roma
Boscolo L., Bertrando P., (1993), I tempi del tempo. Una nuova prospettiva per la consulenza e la terapia sistematica, Bollati Boringhieri, Torino
Borgna E. (1996), C’è ancora un senso nella psicopatologia? ATQUE. Materiali tra Filosofia e Psicoterapia – Ancora la Psicopatologia?, n.13,p.155-178
Busso P., (2016), Il dialogo con l’altro: nel cuore della psicoterapia sistemica della persona, Libreriauniversitaria.it edizioni
Caillè, P., Rey, Y., (2005), Gli oggetti fluttuanti. Metodi di interviste sistematiche, Armando Editore, Roma
Lanzarone C. Il diritto naturale di essere se stessi. Formarsi con Lorna Smith Benjamin. La notte stellata. Rivista di psicologia e psicoterapia 2018; 1:8-28
Loriedo, C., Picardi, A., (2000), Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento. Percorsi e modelli della psicoterapia sistemico-relazionale, Franco Angeli, Milano
Vallario L., Il cronogramma. Uno strumento per la psicoterapia, Franco Angeli, Milano