fbpx

La fine di un amore: le tre fasi emotive post-abbandono

Relazione di coppia

Scrivere la parola fine ad una relazione sentimentale non è mai semplice, in certi casi né per chi decide di lasciare, né per chi subisce la separazione, nemmeno se il distacco avviene di comune accordo da parte di entrambi i partner. La chiusura di una relazione amorosa provoca comunque del dolore e necessita di un certo tempo di elaborazione. 

Analizzo in questo articolo il processo di rinascita a seguito di una separazione amorosa rifacendomi al teso “Le forme dell’addio. Effetti collaterali dell’amore” di Umberta Telfener

The end: questa è la fine!

In sanscrito a-more significa ciò che non muore mai. L’amore segna e guida l’esistenza fin dalla nascita, è presente nelle profondità della vita ed è per questo che le relazioni che costruiamo e manteniamo nel tempo risultano essere per noi significative e rimangono all’interno della nostra storia personale, influenzando la percezione che abbiamo di noi stessi, delle dinamiche relazionali e del mondo. 

Proprio per il suo significato vitale, quando l’amore finisce vengono a mancare temporaneamente dei riferimenti afferenti al tempo presente e futuro. 

Non è facile riuscire a maturare la fine di un rapporto di coppia, specialmente quando l’investimento affettivo e l’intimità emotiva sono stati intensi. 

Le modalità attraverso cui risorgiamo dalle ceneri, ovvero affrontiamo una separazione sentimentale deriva principalmente dalla lettura e dall’interpretazione che diamo della relazione stessa e dal significato che ha acquisito per noi. 

Se riusciamo ad uscire dal vicolo cieco di un’unica interpretazione pessimistica, saremo anche capaci di trovare spiegazioni altre, magari a stupirci noi stessi delle nuove connessioni che ci vengono in mente

U. Telfener p 32

Una delle autrici che parla delle relazioni di coppia e delle separazioni è Umberta Telfener, psicologa e psicoterapeuta, la quale nel suo libro “Le forme dell’addio. Effetti collaterali dell’amore” ci racconta tutto quello che una persona sperimenta a seguito della fine di una relazione amorosa.

L’autrice sostiene come la separazione rappresenti la rottura di una unità in cui si subisce la perdita dell’altro, la perdita di se stessi e in cui viene inferta una ferita narcisistica che scuote profondamente la personale autostima.

U. Telfener cerca di rispondere alla complicata domanda “che cosa resta di noi dopo che l’altro ci ha lasciato? descrivendo le emozioni, le azioni e i pensieri che si vengono a strutturare nel periodo post-abbandonico.

Fase 1: L’annientamento, la perdita significato, la perdita di sé e del futuro

Subito dopo che il partner comunica il desiderio, la necessità e la volontà di interrompere la relazione di coppia, possono scaturire in chi subisce questo evento alcune emozioni molto intense: oltre al dolore, ci può essere una forma di disorientamento a causa di una perdita non solo dell’altro ma anche delle progettualità comuni, della vita vissuta insieme e anche, in qualche misura, di noi stessi. 

Sicuramente questa è una delle fasi più difficili da attraversare in quanto si esperisce uno stato profondo di solitudine e malinconia.

I momenti più dolenti sono forse il risveglio e la notte, quando finisce la giornata e si deve andare a letto, si viene assaliti da un senso di solitudine cosmica. Ma i pensieri rivolti al partner non sono presenti sono all’alba e al tramonto, ma invadono tutta la giornata, come se abitasse forzosamente all’interno delle mura della nostra mente.

Nonostante il profondo dolore e l’immensa delusione a cui si è stati sottoposti, nella prima fase post-abbandonica la persona tenderebbe a ricucire, se le fosse data l’opportunità, la relazione. Questo succede perché spesso la paura prende il sopravvento e la persona sente di non esistere al di fuori di quella relazione di coppia.

Proprio per questo in tal periodo ci si pone sulle spalle tutta la responsabilità per la fine della relazione. Siccome non siamo ancora pronti a disprezzare il partner, ad attribuirgli colpe, ad arrabbiarci profondamente con lui/lei, tutte queste sensazioni le rivolgiamo verso noi stessi. 

“Io non valgo abbastanza perché rimanga con me”

Scrive U. Telfener: “questa svalutazione di se stessi implica necessariamente una sopravvalutazione dell’altro: dopo l’abbandono noi sostituiamo la persona reale con una sua immagine rivalutata, idealizzata: non abbiamo più a che fare con l’altro, ma con la nostra idea dell’altro. L’idealizzazione è un meccanismo di difesa contro l’aggressività che potrebbe portare alla perdita totale dell’oggetto d’amore”.

Fase 2: la rabbia

Questa è la fase di transizione, un grande contenitore dove si mischiano emozioni spesso contrastanti.

Ad ogni modo quella prevalente è la rabbia che ci aiuta a diminuire il peso dell’idealizzazione del partner per ricollocarlo in una posizione orizzontale e più simmetrica rispetto a noi

Non siamo più vittime e il partner non è più carnefice, noi riacquistiamo progressivamente potere, usciamo fuori dalla prigionia, ci riappropriamo dei nostri valori e, seppur flebilmente, del nostro futuro. Iniziamo ad inquadrare il comportamento negativo e, a volte, illecito e distruttivo del partner.

Può capitare in questa fase che addirittura si sposti l’asse in maniera del tutto polare, cioè mentre nella prima fase la colpa della rottura della relazione era stata posta sulla propria testa, in questa fase, invece, può capitare di attribuire del tutto la responsabilità al partner. 

Entrambe le posizioni implicano una lettura eccessivamente semplicistica della realtà di coppia.

Nella seconda fase di elaborazione post-abbandonica nonostante le emozioni e i pensieri assumano un segno negativo, essi sono ugualmente pervasivi e, quindi, il partner continua ad essere protagonista della nostra realtà. 

La rabbia può essere così intensa che la persona progetta e realizza delle vendette nei confronti del partner: questa è la fase in cui, ad esempio, i figli vengono sfruttati per realizzare la propria vendetta sul campo generando un dolore in tutti i protagonisti, specialmente nei bambini che si ritrovano all’interno di dinamiche relazionali del tutto insane.

Finchè ci saranno dentro di noi emozioni così forti, significa che di strada ancora ne dobbiamo fare prima di elaborare costruttivamente la fine del rapporto.

Scrive U. Telfener: “facciamo davvero un passo avanti quando, anziché occuparci solo dell’altro, ci poniamo domande che riguardano noi.

Solo nel momento in cui non ci sentiremo più pronti ad accogliere il nostro ex, neppure se tornasse e insistesse testardamente per rimettersi con noi, potremmo dire di essere finalmente liberi”. p114-119

Fase 3: verso l’accettazione

In questa fase si comincia a intravedere la luce in fondo al tunnel. “Il dolore non è completamente sparito ma resta sullo sfondo, pallido, in sordina”. pagina 125.

Nella terza e ultima fase U. Telfener ci dice che la persona che è stata abbandonata trasformerà la rabbia progressivamente in indifferenza e l’indifferenza è il contrario dell’amore, non l’odio che invece racconta di un intenso coinvolgimento.

Questa è la fase di lenta ricostruzione in cui la persona si rimette al centro dei propri pensieri e dei propri progetti. È il momento in cui si riacquista progressivamente concretezza del qui ed ora e si sente di possedere le risorse per la costruzione del proprio futuro. Il passato non è più così ingombrante e comincia a stagliarsi sullo sfondo. 

Questa fase può essere gestita e superata, per il raggiungimento un ristabilito stato di benessere, qualora la persona sia predisposta alla riflessione. U. Telfener sottolinea come sia importante riflettere sulle ragioni del proprio rapporto finito attraverso il porsi le seguenti domande: 

  • Perché siamo stati insieme? 
  • Perché ho continuato a stare con una persona che mi ha fatto così male? 
  • Come mai il rapporto è finito prima di quanto pensassi? 
  • Come ho fatto ad uscirne? 
  • Quali risorse ho utilizzato per riuscire a trovarmi dove sono ora, per rimettermi in piedi?
  • Cosa ho dato e ricevuto in questi anni? Cosa ho imparato nella relazione che appena finita? 
  • Cosa sto imparando di me attraverso questa esperienza di abbandono? 
  • Quali emozioni sto provando? Pagina 145

Soltanto attraverso un lavoro di analisi personale e della relazione di coppia ormai finita sarà possibile trasformare un enorme dolore in un’esperienza di apprendimento, utile per il proprio futuro. 

Non è un processo semplice e, a volte, si ha bisogno di un supporto esterno, anche di un esperto che possa facilitare o, in alcuni casi, rendere possibile l’elaborazione della perdita e la riacquisizione del senso di Sé. 

Ma la fine di un amore è davvero la fine?

A volte il dolore più grande dopo essere stati abbandonati è legato alla paura dell’inerzia. Si viene assaliti dal terrore che dopo quella storia d’amore non ci sarà più nulla di emozionante, per cui varrà la pena di essere vivi. 

In realtà, scrive U. Telfener “da un amore finito si può anche rinascere: possono cioè nascere di nuovo parti di noi che ora acquisteranno una valenza diversa e ci renderanno più capaci di gestire la nostra vita” p.146 

Sicuramente siamo chiamati a mettere in campo una maggiore flessibilità e una maggiore centratura circa noi stessi. 

È importante non chiudersi in schemi di pensiero e di comportamento rigidi e ripetitivi, bensì modularsi ed avere la curiosità di scorgere alternative e nuove opportunità anche dietro quelli che sembrano essere solo ostacoli

Domande o curiosità? Scrivimi pure

Campo nuovo

Gelosia digitale: come i social media impattano sulle dinamiche di coppia

Gelosia digitale: come i social media impattano sulle dinamiche di coppia

Nel terzo millennio, la diffusione capillare di internet e degli smartphone ha favorito l’utilizzo massiccio dei social network, dei servizi di messaggistica e delle dating app che hanno cambiato radicalmente il modo di vivere le relazioni, soprattutto quelle d’amore L’iperconnessione è diventata una caratteristica dei rapporti, un modo per essere sempre collegati, un tutt’uno con un altro o con altri

La gelosia: mostro dagli occhi verdi?

La gelosia: mostro dagli occhi verdi?

Quando la gelosia è moderata rientrando nella dinamica affettiva tra due persone allora può essere definita “fisiologica” ed è legata al senso di protezione verso un rapporto che riteniamo importante. Una gelosia eccessiva diventa fonte di malessere per chi la sperimenta e per chi la subisce, danneggiando la relazione.