Le disfunzioni possono esistere non solo durante una relazione di coppia, di amicizia o lavoro, ma anche nelle battute finali, quando (di solito) uno dei due partner si appresta a scrivere la parola “fine”.
Vediamo insieme alcune di queste patologie di rottura relazionale:
- Ghosting
- Caspering
- Zombiering
- Benching
- Orbiting
1. Ghosting
Come la parola stessa indica, è una modalità adottata da uno dei due partner per chiudere la relazione in cui la persona sparisce all’improvviso, diventa un fantasma, cioè interrompe qualsiasi contatto con il partner rendendosi irreperibile, non risponde più alle telefonate né ai messaggi né alle e-mail, blocca l’altro su tutti i social media.
Sparisce nel nulla, insomma, senza lasciare tracce, avvolgendosi in un mantello dell’invisibilità cucito con trame di indifferenza e silenzio.
Il ghoster, che non desidera più continuare la relazione la chiude evitando il confronto e di conseguenza il conflitto.
Non vuole assumersi la responsabilità della sofferenza dell’altro e non accetta di pensarsi ed essere considerato cattivo e colpevole.
Il ghosting è un vero e proprio abuso emotivo nei confronti dell’altro che può ingenerare dei traumi in chi subisce tale fenomeno.
2. Caspering
Il termine si rifà al simpatico Casper cinematografico, che sembra più amichevole di un fantasma spaventoso (ghost). Infatti, il caspering è la versione light del ghosting, in cui il partner, invece che sparire di punto in bianco, rompe la relazione in maniera graduale attraverso una serie di segnali di allontanamento, fino alla sparizione finale.
Piuttosto che ignorare i messaggi dell’altro, come farebbe il ghoster, risponderà in modo vago, anche facendo progetti, ma in realtà senza alcuna intenzione di portarli a termine.
Chi agisce il caspering lascia il partner in sospeso all’interno di una relazione, senza essere né presente né assente, fa il fantasma in modo più amichevole.
Questa fase di transizione, che precede la rottura, può perdurare anche per molto tempo.
3. Zombieing
Il termine anglosassone ci rimanda all’immagine dello zombie, ovvero colui che dopo esser morto, ritorna in una versione da “morto vivente”.
Questo è quello che può succedere nelle relazioni di coppia, quando il partner prima chiude ogni contatto, scomparendo del tutto e poi ritorna nella vita di chi ha lasciato, d’improvviso (proprio quando il lutto per la perdita era stato superato) di solito attraverso dei semplici messaggi sui social media.
4. Benching
Il termine si rifà all’inglese to bench, che significa mettere a sedere su una panchina.
Come nelle migliori squadre sportive che si rispettano i panchinari rimangono in riserva, osservando con trasporto la partita giocata da altri, nell’infinita attesa di poter essere scelti.
Una dinamica simile può accadere nelle relazioni, specialmente attraverso l’intermediazione dei social media.
il bencher tiene all’amo attraverso dei comportamenti ambigui, per mantenere quel filo di congiunzione che non fa andar via l’altro, che rimane speranzoso. È solo un modo per assicurarsi che la vittima non diventi disinteressata, che sarà sempre lì, in panchina, in attesa.
Il comportamento è quello di chi flirta, facendo false promesse, mostrando un interesse inesistente e questo su più fronti. La partita è aperta su più campi da gioco contemporaneamente.
Avere tante persone che ti desiderano e attendono è certamente appagante e gratificante per la propria autostima, ma non racconta nulla sulla capacità di entrare davvero in relazione con un’altra persona.
La valutazione del Sé deriva dalla quantità di contatti e non dalla qualità del contatto. Più è meglio!
5. Orbiting
Il termine orbiting esprime il significato di continuare ad orbitare nella vita di un’altra persona, seppur si sarebbe dovuti uscire dalla sua galassia.
È il comportamento messo in atto dalla persona che ha lasciato e che, invece di sparire, è sempre lì a guardare cosa fa l’ex sui social, mettendo qualche like e qualche cuore ogni tanto.
Non è costante, alterna presenza e assenza, tali da ingenerare nell’altra persona una certa quota di ansia e disorientamento.
A volte pensa “se mi segue sui social significa che ancora gli interesso”, ma il momento dopo tale riflessione l’ex scompare per giorni.
Perché non mi lascia?
Spesso nella mente di chi subisce questi comportamenti aleggia la frase “perché non mi lascia?”. Proviamo a rispondere.
Spesso, all’origine di questi comportamenti patologici di rottura può esserci una fragilità relazionale, di chi non riesce ad impegnarsi all’interno di una relazione stabile e quindi oscilla tra “con te” e “senza di te”, nell’infinità incapacità di decidere.
Tale fragilità ha origini antiche nelle esperienze di attaccamento con le figure di accudimento. Se si ha avuta esperienza di un attaccamento evitante, ad esempio, la mancanza proiezione di buone relazioni infantili darà luogo ad un senso di svalutazione nei confronti dell’amore e della possibilità di essere amati. Il bambino tenterà di creare legami senza mai realmente costruire intimità.
Se neanche la figura che avrebbe dovuto dedicargli il tempo ed attenzione e soddisfare i suoi bisogni non è disponibile, nasce una cognizione dell’amore come svalutante.
Il bambino costruisce l’idea “devo arrangiarmi da solo e ho paura di fidarmi di te”.
Sono preoccupati contemporaneamente dall’estrema vicinanza e dall’idea di solitudine. Quando l’ansia del contatto e dall’intimità affettiva prevarrà si allontaneranno, invece, quando il terrore della solitudine invaderà il loro mondo emotivo, torneranno.
In queste continue oscillazioni, non potendo perdere l’opportunità di ripensarci (ti lascio ma magari più in là vorrò di nuovo riprovarci) lasciano l’altra persona in una sorta di “terra di nessuno” in cui struggersi.
Questa lettura ci indica come i comportamenti relazionali di queste persone siano, in realtà, autoreferenziali. L’altro non esiste se non in funzione dei propri bisogni. Il rispetto dei sentimenti altrui e il preservare l’altro dalla sofferenza non sono tenuti in considerazione.
Cosa fare se si subiscono le patologie di rottura?
Mi viene in mente il film “La verità è che non gli piaci abbastanza”, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo, dove la protagonista Gigi interpreta i segnali di assenza, intermittenza o rifiuto dei ragazzi come indice di alto interesse.
Il film si apre proprio con una scena in cui una Gigi bambina apprende che se il maschio ti rifiuta significa che, ti sta manifestando, in modo mascherato il suo profondo interesse.
Questi apprendimenti che determinano distorsioni cognitive ed erronee interpretazioni dei comportamenti altrui, insieme a dimensioni storiche personali che possono essere state terreno fertile per la tendenza alle disregolazioni emotive interpersonali, possono essere alla base del comportamento della vittima che rimane ad oltranza all’interno di strascichi relazionali dolorosi, senza sapersi liberare.
È importante fare un esame di realtà in cui, valutando i comportamenti dell’altro, si costruiranno pensieri e sensazioni coerenti:
- “non gli piaccio abbastanza”, ma non per mio disvalore
- “non è capace di STARE in relazione”, ma non perché io non ne valgo la pena
- “io non posso cambiarlo”, svestendo i panni della crocerossina
- “io merito di meglio”
- “ho bisogno di reciprocità”.
Queste valutazioni permetteranno di chiudere la relazione, senza sprecare altro tempo.
Qualora la sofferenza sia molto intensa e si rimanga imbrigliati all’interno di dinamiche relazionali disfunzionali, è utile affidarsi ad uno psicologo esperto del settore.