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Percepirsi autoefficaci ci rende lavoratori migliori?

Individuo

I sentimenti di fiducia circa le proprie capacità nell’affrontare una situazione o un compito influenzano notevolmente non solo il nostro comportamento, ma anche i pensieri e le emozioni. 

Che cosa significa sentirsi autoefficaci? 

Quanto è importante all’interno delle nostre esperienze lavorative? 

Proviamo a rispondere a queste domande…

Cosa si intende per autoefficacia?

La dimensione psicologica dell’autoefficacia viene concettualizzata dallo psicologo cognitivista Albert Bandura in un suo storico articolo pubblicato nel 1977 su Psychological Review (Bandura, 1977), come la “convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che incontreremo in modo da raggiungere i risultati prefissati.

Le convinzioni di efficacia influenzano il modo in cui le persone pensano, si sentono, trovano le motivazioni personali e agiscono” (Bandura 1986). 

La nozione di autoefficacia si fonda, dunque, sulla stima che l’individuo fa delle sue abilità di riuscire in un determinato compito ed essa influenza:

– il corso d’azione che le persone intendono perseguire;

– quanto sforzo verrà impiegato nell’azione;

– per quanto tempo perseverano nei confronti degli ostacoli che incontreranno e nelle sconfitte;

– la capacità di recuperare in base alle difficoltà che si incontrano lungo il cammino;

– se il modo di pensare è auto-ostacolante o autopromuovente;

– quanto stress e depressione sentono nell’affrontare situazioni difficili;

– il livello di soddisfazione che deriva dal raggiungimento dell’obiettivo” (Bandura, 1999).

Le 4 esperienze alla base dell’autoefficacia

Secondo Bandura la genesi delle convinzioni di autoefficacia poggia su 4 tipi di esperienze (Petitta L., Borgogni L., 2009, p. 165-168):

1. Mastery experience (messa alla prova diretta): costituisce la fonte più proficua per acquisire un forte senso di autoefficacia.

Per sviluppare le proprie convinzioni di efficacia è opportuno che le persone siano esposte a situazioni di difficoltà gradualmente crescenti, in modo da avere l’opportunità di mettersi alla prova, verificare le proprie capacità e capitalizzare l’esperienza fatta, traendo da essa le informazioni per orientare il proprio agire in futuro.

2. Vicarious experiences (esperienze vicarie): osservazione di persone che utilizzano modelli di successo e raggiungono i propri obiettivi.

Ciò incrementa nel soggetto la motivazione a sperimentare gli stessi percorsi e strategie per arrivare alle mete prefissate.

3. Social persuasion (persuasione sociale): essere persuasi dagli altri di poter essere all’altezza delle situazioni consolida la convinzione di essere in possesso di ciò che occorre per riuscire.

4. Physical and emozional states (controllo degli stati fisici ed emotivi): nel valutare le proprie capacità le persone si basano sulla percezione ed interpretazione degli stati emotivi e fisici.

Per esempio, le persone che hanno un buon senso di efficacia considerano il proprio stato di attivazione emotiva come qualcosa che facilita l’azione dando energia, mentre quelle sfiduciate vivono lo stato di attivazione fisico-emotivo come pericoloso e debilitante, cioè presagio di un cattivo rendimento e un cattivo risultato.

I livelli di autoefficiacia

È stata documentata l’esistenza di stretti legami tra grandi aspettative di autoefficacia e il successo in compiti diversi, di tipo sia fisico che intellettuale, la riduzione dell’ansia, il controllo della dipendenza, la tolleranza al dolore, la guarigione dalla malattia, la mancanza di stress. 

“Al contrario le persone con basse aspettative di autoefficacia tendono ad avere bassi tassi di successo” (Kreitner, Kinicki, 2008, p. 143), perché più il soggetto ritiene di non essere capace e “più l’azione si rallenta e diventa indecisa, la mente si muove per individuare all’esterno forze e segni per persistere e le emozioni diventano freno all’entusiasmo, alla capacità di cercare, di scoprire, di attuare virate e, di conseguenza, anche il credere nelle proprie capacità diventa sempre più difficile” (Petitta, Borgogni, 2009, p. 163-164).

Inoltre, un livello di autoefficacia cronicamente basso viene associato ad una condizione fortemente debilitante, detta inettitudine acquisita per cui l’individuo è convinto di non avere alcun controllo sull’ambiente circostante (Kreitner, Kinicki, 2008).

Autoefficacia debole

Le persone con uno scarso senso di autoefficacia:

– si allontanano intimidite dalle attività difficili e le considerano come minacce personali;

– hanno basse aspirazioni e investono uno scarso impegno nel raggiungimento di obiettivi che scelgono per se stesse;

– di fronte a compiti difficili, indugiano a considerare le proprie carenze personali, gli ostacoli che incontreranno, e tutte le conseguenze avverse possibili piuttosto che concentrarsi su cosa fare per riuscire;

– riducono il proprio impegno e rinunciano facilmente trovandosi di fronte a difficoltà;

– sono lente nel recuperare il loro senso si efficacia in seguito a insuccessi e regressioni;

– siccome attribuiscono le prestazioni scadenti alla mancanza di capacità e doti personali, non hanno bisogno di molti insuccessi per perdere fiducia nelle proprie capacità;

– sono facili prede dello stress e della depressione (Bandura, 1997).

Autoefficacia forte

Viceversa, persone con fiducia nelle proprie capacità e un forte senso di autoefficacia:

– affrontano i compiti difficili come sfide da vincere piuttosto che come pericoli da evitare e tale atteggiamento costruttivo favorisce la motivazione intrinseca e una profonda partecipazione in ciò che si fa;

– si pongono obiettivi ambiziosi e restano fortemente impegnati nel loro raggiungimento;

– di fronte alle difficoltà intensificano il proprio impegno e lo mantengono costante;

– recuperano velocemente il proprio senso di efficacia in seguito a insuccessi e regressioni;

– attribuiscono l’insuccesso ad un impegno insufficiente o a una mancanza di conoscenze o di abilità che possono comunque essere acquisite;

– affrontano le situazioni minacciose con la sicurezza di poter esercitare un controllo su di esse;

– un atteggiamento efficace, inoltre, procurando successi personali, riduce lo stress e la vulnerabilità alla depressione (Bandura, 1997).

Tabella riassuntiva relativa al confronto tra soggetti con adeguata e bassa autoefficacia

L’autoefficacia nel mondo del lavoro

L’autoefficacia non è connessa con il numero di competenze che la persona possiede, ma con quello che si crede di poter fare con esse, nelle diverse circostanze in cui si viene a trovare. 

Non è, dunque, una misura delle competenze possedute, ma è la credenza che la persona ha di ciò che è in grado di fare in diverse situazioni con le capacità che possiede.

Proprio per questo, il costrutto dell’autoefficacia è rivelante all’interno del mondo del lavoro, in particolar modo perché è un fattore rilevante rispetto alla capacità dei lavoratori di rispondere alle pressioni professionali e una variabile fortemente correlata alla prestazione e soddisfazione lavorativa.

In particolare, numerosi studi hanno attestato lo stretto legame tra efficacia percepita e prestazione lavorativa e indicano nelle convinzioni di autoefficacia i predittori più affidabili del successo organizzativo (Bandura, 1997).

Ricerche empiriche (Borgogni, 2001) avvalorano il ruolo centrale delle convinzioni di efficacia nel favorire l’assimilazione delle nuove tecnologie, lo sviluppo delle carriere, l’efficienza manageriale, l’adattamento dei neoassunti al contesto organizzativo, la soddisfazione lavorativa (Locke, 1976) e il commitment organizzativo (Allen, Meyer, 1990; Caprara, Barbaranelli, Borgogni, Petitta, Rubinacci, 2003; Caprara, Barbaranelli, Borgogni, Steca, 2003; Caprara, Petitta, Fida, 2004).

Inoltre, i lavoratori che hanno un basso senso di efficacia sono più inclini a sperimentare stress emotivi e fisiologici e a percepire il sovraccarico lavorativo rispetto a coloro che, invece, possiedono un elevato livello di autoefficacia che risultano più resistenti allo stress e alle richieste del lavoro.

Infatti, i risultati di studi condotti sui posti di lavoro incoraggiano i manager ad alimentare l’autoefficacia sia in se stessi sia negli altri (Kreitner, Kinicki, 2008), in modo tale che l’individuo non è più considerato come mero responder della realtà organizzativa ma co-costruttore dell’ambiente.

Per approfondire

Bandura, A. (1977), Social Learning Theory. New York: General Learning Press.

Bandura, A. (1973), Aggression: A Social Learning Analysis. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall.

Bandura, A. (1986), Social Foundations of Thought and Action. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall.

Bandura, A. (1997), Self-efficacy: The exercise of control. New York: W.H. Freeman.

L.Petitta – L.Borgogni (2009), Efficacia personale e collettiva. In: P.Argentero, C.G.Cortese

Kreitner R., Kinicki A. (2008), Comportamento organizzativo. Dalla teoria all’esperienza, Apogeo

 Borgogni L. (2001), Efficacia organizzativa. Il contributo della teoria sociale cognitiva alla conoscenza delle organizzazioni, Guerini e Associati

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